Specchio della società in cui viviamo, il selfie è diventato un vero e proprio strumento di comunicazione. In un mondo “mobile” e senza tempo, dove tutto è a distanza di un Whatsapp, un autoritratto del momento vale più di 140 caratteri.
Ma qual è il valore sociale dei selfie? E perché sono tanto amati?
Il selfie è innanzitutto un veicolo di auto-rappresentazione e di connessione tra individui, tipico dell’era digitale.
Con un selfie raccontiamo noi stessi, ci mettiamo al centro della narrazione continua che ormai da anni costruiamo sui social e ci elegiamo protagonisti del nostro personale reality show.
Il reale destinatario del selfie non siamo noi stessi, ma gli altri. Questo perché i selfie hanno un’intrinseca natura social e vengono fatti per essere condivisi online e ricevere like, commenti, approvazione. Non si tratta solo di auto-celebrazione di se stessi e narcisismo, ma piuttosto di un impellente bisogno di attenzione, non così diverso da quello dell’aggiornamento di status o di un tweet, alla ricerca delle stesse conferme in forma di “mi piace”.
Citando Tommaso Sorchiotti, autore del libro “#Selfie: la cultura dell’autoscatto come forma di racconto e appartenenza”, possiamo affermare che:
I selfie sono diventati uno strumento di narrazione, semplice e immediato, ma carico di significato. In uno spazio di comunicazione sempre più frenetico e immersivo, non è un caso che i selfie, così come gli sticker, le emoji, le gif animate, abbiano una rilevanza sempre più importante. E’ una specie di ritorno alle origini, fatto di un linguaggio rappresentativo e di facile fruizione.
Allo stesso tempo, i selfie rappresentano uno strumento intimo che diventa sociale nel momento in cui vengono utilizzati per testare l’effetto del proprio look & feel, nella continua ricerca di feedback e approvazione da parte degli altri utenti della Rete.
Attraverso i selfie, infatti, ciascuno di noi ha la possibilità di mostrarsi al mondo esattamente nel modo in cui vuole essere visti, selezionando in modo preciso le informazioni da comunicare.
I selfie oggi sono una pratica culturale diffusa e rappresentano lo specchio della società in cui viviamo.
Sono utilizzati come fonte giornalistica e citati nelle discussioni politiche. Hanno portato l’intimità del mondo social nei rapporti con capi di stato, celebrieties, sportivi, cantanti e altri personaggi irraggiungibili. Hanno ritratto persino il Papa in posa.
E recentemente sono stati innalzati addirittura ad opere d’arte, attirando l’attenzione delle gallerie d’arte internazionali “come forma di rappresentazione che usa gli smartphone come nuovi strumenti artistici.”
Basti pensare che lo scorso marzo alla Saatchi Gallery di Londra è stata inaugurata la mostra “From Selfie to Self-Expression“: un percorso sul tema della storia dell’autorappresentazione artistica – da Rembrandt a Trecey Emin, passando per Van Gogh e Juno Calypsoper – con l’obiettivo di tracciare un filo conduttore che dai grandi maestri del Rinascimento ha condotto al fenomeno odierno dei selfie.
Un tema tanto discusso, quanto apprezzato per le enormi potenzialità di far parlare di sé e dare visibilità alla propria immagine o al proprio brand attraverso un basso investimento economico che genera però un enorme ritorno di immagine.
Insomma, piccola spesa, massima resa. Ecco perché ultimamente si è diffusa la cultura del selfie anche nel mondo del marketing e della comunicazione: dalla moda al make up, dalla ristorazione allo sport, dall’elettronica allo street food, ormai nemmeno la pubblicità può più farne a meno.